Curiosità sulle piante fitoterapiche invernali

Il Pelargonium sidoides, geranio del Sudafrica usato nelle affezioni delle vie respiratorie, fu importato in Europa dal maggiore inglese Stevens e utilizzato per la tubercolosi fino alla comparsa di farmaci specifici per questa patologia. Nel suo viaggio, per curarsi dalla tubercolosi, infatti, un guaritore Zulù insegnò a Stevens come fare il decotto con le radici della pianta, visto che la tribù indigena lo aveva da sempre usato per qualsiasi dolore al petto.

La droga è costituita dalle radici vecchie di 3-4 anni, ricche di sostanze attive come polifenoli, proteine, carboidrati e cumarine ed è indicata nelle infezioni acute e croniche delle alte e basse vie respiratorie.

In particolare, questa radice ha dimostrato un’attività antivirale, antibatterica e fluidificante del muco.

In inverno i preparati a base di Pelargonium sidoides vengono usati in caso di raffreddore e infezioni delle vie aeree.

Esistono, in natura, molte specie di echinacea e tre di queste sono riconosciute come officinali: Echinacea pallida, Echinacea angustifolia ed Echinacea purpurea.

L’uso medicinale della pianta ha origine presso gli indiani del nord America, dove diverse tribù come, ad esempio, i Cheyenne, i Dakota, i Sioux e i Comancee la utilizzavano e spesso costruivano il loro villaggio dove questa pianta cresceva spontaneamente.

La droga, ricavata dalle radici era usata dalle tribù per il trattamento di piaghe e ferite, per le ustioni, per le malattie febbrili, per la tosse, per il mal di testa e anche per i crampi allo stomaco. Il cimurro dei cavalli era curato usandone il fumo.

I coloni bianchi appresero dai nativi americani le tante virtù di questa pianta fin dal 1700. Nel XIX secolo divenne una delle droghe più diffuse negli Stati Uniti e ammessa nei primi del ‘900 nel National Formulary of the United States e impiegata per cercare di curare malattie come il tifo, la difterite e la setticemia.

Nella nostra epoca a questa pianta, la cui droga è costituita dalla radice, si ascrivono proprietà immunomodulanti. Inoltre, viene utilizzata per il trattamento delle malattie da raffreddamento e di stati febbrili. È anche usata con attività cicatrizzante, antinfiammatoria, antivirale e antibatterica.

Il Ribes nigrum è una pianta medicinale di cui si utilizzano le foglie e che contiene attivi quali i polifenoli, i glicosidi e i flavonoidi.

Nell’antichità gli arabi erano soliti bere uno sciroppo a scopo dissetante a base di un rabarbaro dal sapore acidulo che chiamavano ‘Ribas’; trasferitisi in Europa sostituirono lo sciroppo, non disponibile in quell’area geografica, con i frutti di un arbusto che venne chiamato da loro Ribes. Fu poi Linneo che classificò questa pianta come il Ribes nigrum.

Nell’uso popolare veniva usata per le proprietà antireumatiche, diuretiche e depurative. Inoltre, era impiegata in decotto per la renella, i catarri vescicali e come antinfiammatorio intestinale e utilizzata nel diciannovesimo secolo come panacea di tutti i mali. Proprio per questo venne definita “la perla della gemmoterapia”.

Le foglie di Ribes nigrum hanno proprietà antiallergiche e antiflogistiche per la presenza al loro interno di proantocianidine. Queste ultime sono molto presenti nelle piante che troviamo in natura perché, generalmente, difendono la pianta dallo stress ossidativo provocato da fattori esterni quali i batteri, i funghi, i parassiti ma anche le condizioni ambientali.

Proprio grazie a questa presenza le foglie di Ribes nigrum presentano anche un’azione antiossidante sull’uomo contrastando l’azione dei radicali liberi.

Il Silybum marianum conosciuto come cardo mariano è una pianta con attività sia epatoprotettrice che antiossidante e scavenger dei radicali liberi. 

Fin dall’antichità veniva impiegata per il trattamento dei disordini epatici e della milza. Il greco Discoride, medico e botanico vissuto nel primo secolo dopo Cristo, lo consigliava per i morsi di serpente; anche Plinio il Vecchio, in epoca analoga utilizzava il decotto di cardo mariano per i disordini biliari.

L’uso tradizionale in medicina popolare prosegue poi nel corso dei secoli, ma solo verso la fine degli anni 60 Wagner riuscì ad isolare la silimarina, vero principio attivo di questa pianta. Questo confermò le proprietà antiossidanti ed epatoprotettive del cardo mariano i cui principi attivi vengono tuttora utilizzati per i pazienti che hanno necessità di proteggere il fegato.

A questa pianta sono legate diverse leggende: il nome mariano deriva da una leggenda popolare secondo la quale le venature biancastre sulle foglie sono quelle del latte che Maria perse dal seno in un campo di cardi  durante la fuga in Egitto.

 Un’altra leggenda lo lega al pastore siciliano Dafni: alla sua morte una Terra piena di dolore fece crescere un fiore bellissimo su una pianta piena di spine, mentre nelle leggende del Nord Europa questa pianta è legata alla divinità di Thor.