Il diabete mellito è una delle principali patologie metaboliche e si caratterizza per l’inefficienza dell’organismo di gestire il glucosio, portandolo a livelli superiori alla norma nel sangue. Venne denominato “mellito” (dal latino mellitus “dolce come il miele”) grazie al principale sintomo con cui veniva diagnosticato, cioè il sapore dolce che assumevano le urine del paziente, proprio grazie alla presenza di glucosio nell’urina stessa. Oggi ovviamente la diagnosi viene effettuata diversamente attraverso varie analisi; tuttavia, già il riscontro di una glicemia (cioè la quantità di zucchero nel sangue) superiore ai 126 mg/dl dopo un digiuno di almeno 8 ore per almeno due giorni consecutivi sono sufficienti per diagnosticare la patologia. Grazie alle attuali conoscenze si è riusciti a capire che il diabete può avere cause diverse e si è iniziato a parlare di diabete di tipo 1 e di tipo 2.
Grazie alla cosiddetta “microbiota revolution”, cioè la sempre maggiore conoscenza della composizione e consapevolezza del ruolo del microbiota intestinale, si è arrivati a capire un suo coinvolgimento nella patogenesi del diabete.
Diabete di tipo 1 e microbiota
È la tipologia meno diffusa. Viene denominato diabete insulino dipendente o diabete giovanile, in quanto la sua comparsa è statisticamente più precoce rispetto all’altra tipologia. Questa rientra tra le patologie autoimmuni in quanto è il sistema immunitario dell’individuo stesso che per ragioni ambientali o genetiche va a provocare il danno, attaccando erroneamente sé stesso. In questo caso ad essere attaccata è una parte specifica del pancreas, le cellule beta delle isole di Langherans. Quest’ultime sono deputate alla produzione di insulina, ormone fondamentale dell’organismo che ha il principale compito di portare il glucosio dal sangue all’interno delle cellule. La conseguenza della patologia è quindi una più o meno marcata carenza nella produzione di insulina che porta il glucosio a non entrare nelle cellule e a rimanere in maggiore quantità nel flusso sanguigno, portando ad una lunga serie di ulteriori rischi per la salute. La principale terapia di questa patologia è la somministrazione dall’esterno di insulina.
Il coinvolgimento del microbiota intestinale in questo caso è da ricercarsi nel suo collegamento col sistema immunitario. È noto ormai come il microbiota intestinale contribuisca fin dalla nascita allo sviluppo del sistema immunitario e di come una disbiosi (definita come una rottura dell’equilibrio del microbiota) possa facilitare la comparsa di patologie autoimmuni. In caso di disbiosi la parete dell’intestino, che normalmente permette il passaggio di acqua e nutrienti, si vede attraversata anche da sostanze batteriche in eccesso che provocano una stimolazione eccessiva del sistema immunitario dell’intestino e una circolazione eccessiva di sostanze infiammatorie, andando a rendere più favorevole le reazioni autoimmuni. Studi su animali hanno mostrato come la popolazione microbica intestinale si presentasse diversa in individui sani o prossimi allo sviluppo della patologia. Quest’ultimi presentavano un calo di Lactobacillus e Bifidobacterium, un aumento invece di Bacteroides, Rominococcus ed Eubacterium.
Diabete di tipo 2 e microbiota
È la tipologia più diffusa ed è definito insulino indipendente o dell’età adulta. La principale causa di questa tipologia è un’insulino-resistenza, cioè nonostante la produzione di insulina sia efficiente, questa non è in grado di portare glucosio all’interno della cellula in quanto quest’ultima non riesce a reagire in maniera ottimale con la stessa insulina. Le cause di questa patologia sono sostanzialmente riconducibili allo stile di vita, in quanto l’inattività fisica e squilibri alimentari, come pasti ipercalorici, uso eccessivo di grassi saturi e zuccheri raffinati, portano col tempo a condizioni come l’obesità e il diabete di tipo 2. Questa patologia ha un decorso lento e inizialmente senza sintomi, in quanto l’iniziale insulino-resistenza viene compensata in uno stato iniziale con una maggiore produzione di insulina (fenomeno che favorisce tra l’altro il maggior deposito di grasso e l’obesità) e la glicemia rimane nei range corretti. Solo quando questo sistema non è più sufficiente si rileva la glicemia elevata, con il rischio di sviluppare danni vascolari e nervosi.
Il ruolo del microbiota nella comparsa di questa patologia è molto simile al precedente. Una dieta come quella descritta precedentemente in cui frutta, verdura, cereali integrali e grassi insaturi sono sostituiti da nutrienti poco salutari, porta a sviluppare un microbiota che tende alla disbiosi. Ceppi probiotici come lattobacilli e bifidobatteri tendono a calare a discapito di altri ceppi, questo con un meccanismo analogo al precedente favorisce lo sviluppo di un’infiammazione di tutto l’organismo che è la principale causa di insulino-resistenza.
Un aiuto dai probiotici?
Come per altre patologie correlate in qualche modo a una disbiosi del microbiota intestinale, anche per quanto riguarda il diabete si sono effettuati studi per cercare di capire se l’integrazione con specifici ceppi di probiotici possa portare a un miglioramento del quadro clinico. Gli studi e i soggetti coinvolti sono ancora troppo pochi per trarre delle conclusioni e servirà ancora tanto lavoro per giungere a dei risultati, tuttavia diversi di questi studi hanno evidenziato come il consumo di determinati probiotici come i lattobacilli (L. plantarum, L. acidophilus, L. rhamnosus, L. casei) e bifidobatteri (B. bifidum, B. lactis) e Akkermansia muciniphila abbia contribuito a migliorare la salute intestinale dei diabetici, con conseguente riduzione della permeabilità intestinale, aumento di citochine antinfiammatorie e calo di quelle infiammatorie, livelli minori di glicemia e insulina.
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