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Covid-19 nella storia delle pandemie

Imparare dal passato e dall’attuale pandemia

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Esiste una correlazione tra organizzazioni sociali, caratteristiche specifiche delle comunità umane e sviluppo di malattie legate a determinati agenti patogeni: dalle realtà nomadi di cacciatori e raccoglitori alle civiltà agricole alle prime forme di stanzialità fino agli insediamenti urbani e alla rivoluzione industriale, i parassiti responsabili di malattie, da quelle croniche alle forme acute che si sono evolute in epidemie o pandemie, hanno accompagnato il cammino dell’uomo.

Si è aperta con il professor Gilberto Corbellini, docente di Storia della Medicina alla Sapienza di Roma, la terza giornata della sesta edizione de Festival della Scienza Medica di Bologna, di cui Corbellini è direttore scientifico. Un’edizione dedicata al tema “Lezioni di medicina. Covid-19” e – per la prima volta – interamente on line .

“Covid-19 nella storia delle pandemie” è il titolo dell’intervento del professor Corbellini che ha attraversato la millenaria storia dell’uomo, dall’alba di Homo sapiens alla globalizzazione, mostrando la correlazione tra organizzazioni sociali e agenti patogeni che hanno colpito l’uomo nelle diverse età e condizioni.

Se nella preistoria non avrebbero potuto sussistere condizioni per lo sviluppo di infezioni acute letali, data la ristrettezza dei gruppi umani, l’aspettativa di vita molto bassa e una risposta immunitaria innata che produceva risposte infiammatorie di contenimento ai virus, così che frequenti erano le malattie e le infezioni croniche, l’avvento dell’agricoltura determina un drastico cambiamento. Le comunità si allargano, nascono le città – nella maggior parte dei casi vicino a corsi d’acqua – muta l’alimentazione, si costruiscono depositi alimentari e aumentano i rifiuti prodotti: condizioni che, combinate, portano alla nascita di nuovi parassiti responsabili di malattie infettive acute, spesso portate dai topi che iniziano la loro convivenza stretta con l’uomo.

La “peste” di Atene raccontata da Tucidide, causata dall’ammassamento di 300mila persone all’interno delle mura della città, quella Antonina (165 d.C.) e quella di Cipriano nel 249, fino ad arrivare alla prima vera e propria peste, quella di Giustiniano, che coincise con il declino della civiltà romana, uccidendo nel corso dei due secoli successivi circa 20 milioni di persone.

Il Medioevo porta a  una generale contrazione della popolazione in Europa, a differenza del mondo asiatico nel quale lo sviluppo demografico è costante, e con esso quello delle malattie: dal 735 al 900 il Giappone è devastato dal vaiolo. Nel corso del medioevo in occidente si diffondeva la lebbra, stigma di punizione divina, con migliaia di lebbrosari in Europa per il confinamento dei malati. Sono i secoli in cui cominciano a differenziarsi i virus “moderni” come il morbillo e la rosolia. Il lento ripopolamento delle città nei primi due secoli del secondo millennio, prepara l’arrivo della peste nera: arrivata in Europa assieme ai marinai genovesi di ritorno da Caffa, tra il 1347 e il 1352 uccise la metà della popolazione europea, con tassi di letalità fino al 70%, restando nel continente fino al Settecento. Ciononostante, l’aspettativa di vita migliora con il passare del tempo, mentre le esplorazioni e le conquiste di nuove terre a partire dal Cinquecento portano alle popolazioni indigene delle Americhe parassiti contro cui non hanno alcun tipo di difesa immunitaria, causando veri e propri stermini per vaiolo, influenza e raffreddore. Se a quest’epoca l’influenza si costituiva in un complesso ecosistema che vedeva nelle regioni asiatiche, con l’allevamento di volatili e maiali, la sede d’elezione delle varianti stagionali, dal XVIII secolo cominciano le epidemie su scala globale, come il vaiolo che causò milioni di morti prima dell’arrivo della vaccinazione di Jenner, nel 1796: il vaiolo sarà sradicato solo nel 1977.

La Rivoluzione industriale porta nel corso dell’Ottocento a un miglioramento dell’apporto calorico, ma pure alla sempre più massiccia urbanizzazione che causa il manifestarsi di diverse infezioni, dalla tubercolosi alla difterite. Il passaggio al nuovo secolo porta, assieme a un miglioramento delle condizioni igieniche, il contenimento di tali patologie, ma le influenze cominciano a diventare un serio problema sanitario con la pandemia detta Russa (qualcuno sospetta fosse dovuta a un coronavirus), nel 1880, che causò da 1 a 3 milioni di morti, e soprattutto della Spagnola con i suoi 20 milioni di morti.

Dopo la Seconda guerra mondiale si registra l’aumento del numero di agenti patogeni che in diversi contesti emergono o riemergono causando malattie nell’uomo: si tratta di agenti zoonotici da ecosistemi selvatici in contatto con attività umane, di batteri che diventano resistenti agli antibiotici. L’emergere dell’HIV segna, nella contemporaneità, una svolta decisiva nella percezione delle malattie infettive.

L’importanza del monitoraggio

La storia delle malattie infettive, epidemiche e pandemiche, mostra che l’evoluzione sociale ed economica determina condizioni ecologiche sempre diverse e gli agenti patogeni sfruttano le opportunità che si creano.

Oggi le minacce derivano soprattutto dall’interazione con ecosistemi naturali, la cui perturbazione provoca contatti diretti o indiretti con animali selvatici portatori di agenti patogeni nuovi per la specie umana. Servono sistemi di monitoraggio a livello mondiale anche se in passato è sempre accaduto che una volta superata la minaccia (HIV, Sars, Ebola ecc.) ci si è dimenticati del problema, che ha dei costi. Non è sufficiente disporre delle migliori conoscenze e tecnologie medico-scientifiche perché serve tempo per sviluppare cure e vaccini sicuri ed efficaci, e nel frattempo l’agente può causare danni, come accade nel caso di SARS-CoV-2.

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