Oggi in farmacia puoi acquistare creme che appianano le rughe e fanno apparire più giovane, cosmetici che ti illuminano il volto, shampoo che rendono le chiome più folte ed eliminano tutti quei fastidi che attentano alla loro bellezza, vitamine per sentirsi più in forma. L’elisir dell’eterna giovinezza non esiste ancora, ma tra gli scaffali di ogni farmacia non è raro trovare qualcosa che faccia credere che l’età è solo un numero e che illuda che la giovinezza non “fugge tuttavia”. E proprio perché “del doman non c’è certezza” fa bene concedersi di tanto in tanto qualche piccola, grande vanità. A dispetto del famoso falò voluto dal fustigatore Savonarola!
Eppure, fino a non molto tempo fa la farmacia era il luogo dove acquistare il solo pharmakon, ovvero il farmaco, il medicinale. Per noi moderni il farmaco ha una valenza positiva, è qualcosa che guarisce o che favorisce la guarigione. Insomma, un mezzo per curare. In greco antico, invece, il pharmakon indicava sia una medicina sia un veleno, un toccasana così come una droga che uccideva. Un duplice, ambivalente significato che caratterizza anche la lingua inglese dove il termine drug significa sia medicinale sia sostanza stupefacente. Soprattutto per Platone il pharmakon costituiva sempre un qualcosa di positivo e di negativo al tempo stesso. Il filosofo fu profondamente sospettoso nei confronti dei pharmaka. Anche quelli usati a scopo terapeutico, secondo lui, contenevano sempre un potenziale di pericolo. Non esisteva, a suo avviso, un pharmakon esclusivamente benefico. Il fatto di essere curativa non impediva a una sostanza di essere anche dolorosa e dannosa. Addirittura, in una delle sue opere più note, “Fedro”, Platone definiva la scrittura un pharmakon per sostenere la superiorità dell’istruzione attraverso il discorso orale e non scritto. Trascurando di esercitare la memoria, gli uomini avrebbero introdotto l’oblio nelle loro anime.
In epoca moderna, sono in molti a pensarla in modo diverso, individuando nella scrittura un rimedio, un beneficio per superare i problemi legati alla sfera emotiva. C’è chi è fermamente convinto del valore terapeutico della scrittura. Scrivere guarisce da blocchi e dalle paure. Libera dalle ansie, dai pesi, dai traumi e dai dolori che ci portiamo dentro e che non siamo capaci di esprimere a voce. Nel momento in cui le parole si depositano su un foglio o sullo schermo di un computer si ha la sensazione di riacquistare leggerezza e serenità. Non importa che siano prosa o versi così come non è necessario essere dei novelli Leopardi o Manzoni. L’importante è scrivere, così come viene spontaneo, per “ammorbidire” le sofferenze e affrontare le prove della vita. La scrittura terapeutica viene praticata negli ospedali e nelle case di riposo.
Proprio a Monza vi sono esempi virtuosi. Già nel 2009 il professor Giuseppe Masera, ex direttore dell’oncologia pediatrica, e la poetessa Antonetta Carrabs, presidente della Casa della poesia, avevano dato vita nella clinica pediatrica dell’Università Milano Bicocca, all’ospedale San Gerardo, a un progetto di poesia, proseguito nel Centro geriatrico polifunzionale San Pietro con il nome di “Poeti fuori strada”. Un’iniziativa ispirata ai Talleres di poesia creati dal poeta nicaraguense Ernesto Cardenal. Un altro esempio è la scuola di scrittura poetica, “Poetry therapy”, creata sempre nel capoluogo brianzolo, da Dome Bulfaro e Simona Cesana insieme ai componenti di Mille gru, un gruppo di ricerca, associazione culturale e casa editrice monzese. L’atto di scrivere incide fortemente sul benessere, anche fisico perché è difficile slegare l’influsso delle emozioni sulla salute del corpo.
Ma anche la lettura può essere considerato un pharmakon che produce solo effetti benefici tanto che si parla di biblioterapia. Spesso nei libri si trovano le risposte che si stavano cercando e che non si riuscivano a trovare nella quotidianità. Quante volte viene da dire “Quella frase sembra scritta proprio per me!”. Leggere distende, calma, favorisce la fantasia, l’immaginazione, la creatività, la meditazione, porta in mondi e in epoche lontane. Come ricordava Umberto Eco «Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Chi legge avrà vissuto 5000 anni. C’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro». Leggere fa sentire meno soli e riduce persino lo stress. Ecco, perché in farmacia è bene trovare, insieme ai pharmaka di uso medico e ai cosmetici, anche qualcosa da leggere.
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