Guarire dalla talassemia beta con la terapia genica
Senza dover più ricorrere a trasfusioni di sangue
La talassemia beta, o beta-talassemia, è una malattia del sangue causata da una mutazione genetica o mancanza del gene della beta globina, che determina la distruzione precoce dei globuli rossi. Tale condizione è responsabile dell’abbassamento dei livelli di emoglobina nel sangue, la proteina deputata al trasporto di ossigeno, e quindi l’organismo intero soffre di scarsa ossigenazione dei tessuti.
Come si manifesta e si diagnostica la talassemia beta
Chi soffre di questa patologia accusa una stanchezza cronica e ha difficoltà di crescita nella fase infantile e adolescenziale.
La sintomatologia della talassemia beta mostra segni poco evidenti in caso di forma lieve mentre, nelle forme più gravi, si manifesta con debolezza, pallore, itterizia (ingiallimento della pelle dovuto ad un eccesso di bilirubina), deformità delle ossa del viso, gonfiore addominale, urine scure e talvolta ingrossamento della milza.
La diagnosi è basata sull’osservazione clinica e si effettua nei primi anni di vita, nel caso in cui un neonato mostri segni di anemia grave, ritardo nella crescita, stanchezza e pallore. A quel punto si svolgono analisi cliniche e biochimiche accompagnate da test genetici per accertare la presenza della malattia.
Quanto è diffusa la talassemia beta nel nostro Paese?
La talassemia beta è una malattia ereditaria oggi presente in tutto il mondo ma che, nel secolo scorso, ha avuto larga diffusione nelle aree mediterranee, ecco perché è nota anche come “anemia mediterranea”. Tra le zone più colpite il Nord Africa, il Medio Oriente, la Spagna, la Grecia e anche l’Italia, in particolar modo la Sardegna. Questa diffusione diatopica è dovuta alla proliferazione della malattia nelle zone soggette alla propagazione della malaria.
Ad oggi la diffusione della talassemia beta nel nostro Paese riguarda circa 7000 soggetti, di cui la maggior parte vive nelle regioni del Centro-Sud. Si stima, inoltre, che siano oltre 3 milioni i portatori sani, ossia coloro che hanno il gene della talassemia e che la possono trasmettere ai figli ma che non hanno sviluppato i sintomi della malattia.
Dimostrata l’efficacia della terapia genica
Il trattamento canonico per soggetti affetti da talassemia beta prevede la terapia ferro chelante, ossia il monitoraggio dei livelli di ferro nel sangue e l’eventuale rimozione di quello in eccesso, oltre a periodiche trasfusioni di sangue per curare l’anemia. Questo approccio ha consentito l’innalzamento dell’aspettativa di vita, da pochi a decine di anni. Tuttavia, si tratta di un trattamento realizzabile solo grazie alla spontanea donazione di sangue da parte di altre persone e non costituisce una soluzione definitiva per chi è affetto da talassemia.
L’altra soluzione praticata fino ad oggi per la cura della talassemia riguarda il trapianto di midollo osseo che, tuttavia, non è sempre percorribile in quanto bisogna trovare un donatore compatibile (ciò accade solo nel 40% dei casi).
Da qualche anno però, sono in corso delle sperimentazioni sulle cellule staminali che stanno cambiando l’approccio alla cura di questa patologia.
Un importante studio coordinato dal professor Franco Locatelli, uno dei massimi esperti del settore, e pubblicato sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine, ha confermato una nuova via nella cura della talassemia beta. Lo studio ha infatti dimostrato l’efficacia della terapia genica a quasi tre anni dal trattamento con Betibeglogene Autotemcel in oltre il 90% dei soggetti che non ha dovuto più fare ricorso alle trasfusioni di sangue.
Semplificando, la terapia genica consiste, in tre fasi:
- inizialmente vengono prelevate cellule staminali dal sangue periferico dei pazienti;
- successivamente si inserisce al loro interno una copia corretta del gene difettivo alterato beti-cel;
- infine, le cellule staminali vengono reinfuse nei pazienti per via endovenosa, in modo da attecchire al midollo osseo.
In tal modo, si porta l’organismo a raggiungere un livello sufficiente di emoglobina, tale da consentire l’indipendenza dalle trasfusioni.
La sperimentazione della terapia genica è partita nel 2016 e ha coinvolto 23 pazienti, otto con meno di 12 anni e quindici con un’età variabile dai 12 ai 50 anni. Dall’analisi dei risultati è emerso che il 91% dei soggetti talassemici ha risposto in maniera positiva e non ha più avuto bisogno di interventi, avendo raggiunto l’indipendenza trasfusionale.
Un risultato davvero importante che ci auspichiamo possa costituire ben presto una prassi diffusa ed efficace per guarire dalla talassemia.
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