La giornata mondiale dell’Alzheimer si celebra ogni anno il 21 settembre ed è un’importante occasione per parlarne e per accendere i riflettori su una delle patologie senili più diffuse al mondo. La conoscenza e la ricerca sono due strumenti fondamentali per combatterla. E la giornata mondiale serve proprio a questo: creare consapevolezza, promuovere la ricerca e sostenere chi vive con questa malattia e i loro caregiver.
Come nasce la giornata mondiale dell’Alzheimer
La malattia di Alzheimer, descritta per la prima volta nel 1906 dal patologo Alois Alzheimer, è una patologia degenerativa ed irreversibile che causa la compromissione delle funzioni cerebrali coinvolgendo memoria, apprendimento, linguaggio e funzioni esecutive. Si tratta della forma più comune di demenza e aumenta in maniera esponenziale con l’avanzare dell’età, soprattutto nelle donne.
La giornata mondiale dell’Alzheimer è stata istituita nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Alzheimer’s Disease International (ADI) allo scopo di riflettere, informare e sensibilizzare. Secondo l’OMS, l’Alzheimer rappresenta, assieme alle altre malattie appartenenti allo spettro della demenza, la settima causa di morte nel mondo, con un’aspettativa di vita di dieci anni in media da quando viene diagnosticata.
Ultimi dati epidemiologici a disposizione
Si stima che oggi, in Italia, ci siano circa 1 milione e 200mila casi di persone che convivono con la demenza, metà dei quali sono persone affette da Alzheimer; inoltre, le diagnosi annuali hanno un incremento di quasi 150mila l’anno. Tenendo conto del progressivo invecchiamento della popolazione, il numero di persone affette da demenza continuerà a crescere esponenzialmente. Il Global Action Plan 2017-2025 dell’OMS, infatti, afferma che le nuove diagnosi di demenza potrebbero arrivare a superare i 75 milioni entro il 2030 e 132 milioni entro il 2050, con un aumento progressivo allarmante.
Questo rende l’Alzheimer una priorità in campo medico e scientifico dal punto di vista della ricerca e soprattutto degli studi per la diagnosi precoce, che rappresenta il primo e il più importante passo per aiutare i pazienti affetti da Alzheimer e i loro cari.
A che punto siamo nella lotta contro l’Alzheimer?
La diagnosi
Ad oggi l’unico modo possibile per accertare una diagnosi di Alzheimer è l’identificazione delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale, un esame eseguibile solamente in sede di autopsia. Ciò significa che la diagnosi di Alzheimer ad un paziente in vita non è mai certa e, per questo, i medici si devono avvalere di vari tipi di test tra cui esami clinici, neuropsicologici e test cerebrali per poter escludere altre malattie.
Tuttavia, nel momento della diagnosi di Alzheimer i sintomi e i danni di questa malattia sono già attivi sul paziente da anni, quindi la diagnosi precoce è cruciale. Nonostante questo, l’ADI stima che addirittura il 75% delle persone che soffrono di questa patologia non ricevono una diagnosi precoce. È, quindi, necessario prendere coscienza dei segnali d’allarme e, soprattutto, investire nella ricerca scientifica.
Di recente, nella comunità scientifica sta emergendo la possibilità di compiere la diagnosi di Alzheimer tramite prelievi ematici che evidenzino l’eventuale presenza di marcatori plasmatici, come le proteine fosfo-Tac, le GFAP e la neurogranina, indicatori della malattia.
Pare, inoltre, che il costante controllo di questi parametri, associato a quello dei fattori di rischio cardiovascolare, ad un’alimentazione sana e all’attività fisica, possano costituire un piano di prevenzione dell’Alzheimer.
Le terapie
Per quanto riguarda le possibili terapie farmacologiche, invece, sebbene la ricerca prosegua spedita non è ancora giunta ad una soluzione che curi o che rallenti la malattia. Tuttavia, vari principi attivi sono in corso di sperimentazione clinica e proprio in questi mesi è posto al vaglio dell’EMA (Agenzia Europea per il Farmaco) il lecanemab: un nuovo farmaco monoclonale già approvato dalla FDA (Food and Drug Administration). Un’altra soluzione, secondo recenti studi clinici, potrebbe essere la creazione di un farmaco che intervenga sulla proteina Tau bloccandola, ostacolando così la neurodegenerazione dei pazienti e il conseguente sviluppo dell’Alzheimer.
Infine è notevole la sperimentazione partita da poco per una nuova terapia che potrebbe bloccare l’insorgere della malattia su persone geneticamente predisposte.
Si tratta di un nuovo farmaco, il donanemab, che pare possa rallentare il declino cognitivo e funzionale nelle persone con Alzheimer sintomatico precoce.
Al netto delle nuove scoperte scientifiche che ci auspichiamo possano giungere un giorno a trovare una soluzione, rimane di fondamentale importanza combattere la stigmatizzazione associata alla malattia e rompere il silenzio che spesso accompagnano una persona affetta da Alzheimer e chi gli dà supporto.
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